Aperitivo

La mamma aprì le persiane. Il sole inondò la stanza colpendo F. in piena faccia, la quale chiuse subito gli occhi, ma rimase lì dov’era per essere sommersa da tutta quella luce.

Il sogno svanì.

Si ricordava un pullman che poteva essere l’N di Ancona, o forse quello con cui era scesa in Sicilia, che faceva sempre lo stesso giro, e ricordava le persone che incontrava. C’era forse P. di Milano, ma non ne era sicura. Vedeva proprio due o tre persone che si alzavano da quei sedili nell’ambiente buio.

La verità era che quell’autobus che metteva insieme tutti gli autobus che aveva preso nella vita, era il ricordo dell’autobus che la portava a scuola in prima media. Era stata la mamma di M.B., la sua ex compagna di scuola, incontrata per caso al locale su via Vittorio Veneto, a ricordarglielo.

Avevano l’abbonamento mensile di 15000 lire, che l’autista ritirava ogni mese da tutti i ragazzini per mettere i timbri e restituirglieli il giorno dopo. M.B. lo dava direttamente alla mamma di M.M che lavorava all’Ast. In realtà, se fossero andate a scuola a piedi ci avrebbero messo molto meno tempo, percorrendo quella linea retta che è il corso, l’autobus invece ci metteva una vita perché faceva il giro di tutto il paese. Il sabato poi si riempiva di vecchietti che andavano al cimitero e i ragazzi erano arrabbiatissimi perché non avevano posto a sedere. Una volta F. stava per alzarsi per cedere il posto a un’anziana signora che non si reggeva in piedi e la supplicava di farla sedere, quando si sentì tirare la cartella. Si voltò. Un ragazzo la tratteneva al sedile da dietro. Le disse di non cedere il posto, che quei vecchi non facevano nemmeno il biglietto, “tu paghi”, disse.

F. si alzò dando uno strattone alla cartella, e fece sedere la signora. Ripensandoci, le veniva da ridere. Adesso nemmeno lei pagava il biglietto sull’autobus. Eppure non pensava di non aver diritto al posto. Parallelamente, col senno di poi, anche a lei dava fastidio il fatto che con la scusa di essere anziane, queste persone non lasciassero posto a sedere a loro che ogni mattina dovevano alzarsi presto e farsi il giro del paese per andare a scuola.

Ora l’autobus non c’era praticamente più, la mamma le aveva detto che avevano tolto la corsa del sabato che portava al cimitero e quella che portava al mare. “Non c’è l’autobus che va al mare!Veramente terzo mondo!” aveva commentato la mamma.

Ma torniamo al locale e a quella sera. Un locale su via Vittorio Veneto, aperto, F. scoprì poi, da tre anni. La mamma l’aveva notato, e aveva deciso di portarci Eli., venuta da Palermo per assistere A., in fase di trasloco. Quella sera la mamma aveva appuntamento con lei e F. si aggiunse alla compagnia. Si ricordava di El. quando era venuta a casa loro forse a Pasqua, ed era rimasta traumatizzata perché aveva voluto a tutti i costi ripulire il pollo al forno servendo solo la carne bianca a pezzettini minuscoli. Comunque, pollo a parte, era una persona molto simpatica. Quella sera raccontò di come era venuta lì per A. Impossibilitata a parlare chiaramente, per non venir meno alla promessa fatta ad A., lasciò intendere (ma lei non aveva detto niente) che A. si era messa con il precedente chef del mercato, persona di cui anche N. sospettava. Nel frattempo, tale M., che Eli. evidentemente conosceva, si fece sentire e quasi successe un incidente diplomatico, perché Eli. gli disse di passare da li’ e lui disse che si sarebbe fatto vivo più tardi, ma nel frattempo chiamò A. che, appresa la cosa si arrabbiò perché aveva paura che N. passasse di lì per caso, e poi non aveva ancora detto niente ad An., la quale aveva naturalmente già intuito da sola. F. pensò che A. avesse sbagliato paese in cui vivere, così come Fr. A Ispica o trovi il coraggio di dire le cose chiaramente, o ti fai gli affari tuoi, ma stare sospesi tra il detto e il non detto e quello che si può intuire, desta ancora di più pettegolezzi, anzi stuzzica maggiormente la fantasia delle persone. Per fortuna An. non era una curtiggiara e se ne fregava.

Di lì a poco si fecero vivi tutti.

Arrivò T. con un amichetto conosciuto da poco che evidentemente la corteggiava, ma che T. non ricambiava. Poi venne M. e infine anche A., appena staccato dal lavoro, arrivò ancora con la divisa.

Nel frattempo, qualcuno chiamò F. da un tavolo lontano. La mamma di M., insieme a una zia e il figlio di questa zia. La zia in questione era la sorella della signora D., che si ricordava di papà quando era ancora piccolo, dato che vivevano nello stesso palazzo di via Statale. La zia stravide per F. che non conosceva, rivedendo in lei il padre che per lei doveva essere tipo un nipote. E. parlò a lungo, le raccontò di S. che era entrata in marina, di Mel che era la sportiva della famiglia, di M.B che stava ormai per finire anche lei. Poi rievocò i vecchi tempi, l’autobus che prendevano la mattina, quando M. abitava ancora in via Sicilia, i pomeriggi a giocare a Taboo o a Monopoli nella casa nuova e gli spettacoli di magia, sullo scivolo nel giardino dei nonni di F. in via Romagna.

Kukumi88

30 dicembre 2017

 

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